Domande e misteri: Pantani, novità su Rimini - Articolo di Vicennati su Bicisport in edicola
A quasi sette anni dalla morte di Marco Pantani, un articolo di Enzo Vicennati, nel numero di febbraio del mensile Bicisport, riapre il caso mai risolto della sua morte.
L'articolo è il racconto di un filmato, quello girato dagli investigatori nella stanza dove Marco era morto. Da quante ore? Difficile dirlo leggendo, con attonito stupore, di un medico legale che stabilisce la temperatura del corpo con un normale termometro da febbre e gettando un'occhiata al termostato sul muro.
Era davvero da solo? Eppure, in un portafoglio, nella stanza, c'è una chiave elettronica di una Mercedes che non era più nella disponibilità di Marco dal 2003.
Muore senza misteri Marco Pantani? C'è un lenzuolo, sul divano, sporco di sangue. A nessuno è venuta la curiosità di far analizzare quel sangue.
Si sente dire che è stato defibrillato. Perché, se il corpo già presenta i segni dolorosi della morte?
Perché la stanza, all'arrivo degli investigatori, è già piena di gente indaffarata da un'ora?
È un articolo pieno di domande, duro da leggere per chi ha amato Marco, difficile tenere insieme l'uomo del Galibier e quel corpo rigido, con le braccia arroccate come in un'ultima difesa.
Un articolo pieno di domande, quelle che avrebbero dovuto essere poste durante il processo di primo grado ma, sorprendentemente, la difesa e l'accusa omisero di farle.
Un articolo che va letto. Un articolo che nasce dal lavoro dell'avvocato della famiglia Pantani. Già Philip Brunel aveva iniziato a squarciare quella densa, opaca, asfissiante petizione di principio che è stata l'inchiesta sulla morte di Marco.
Una petizione di principio, non serviva nemmeno il livello più elementare di indagine: prendere le impronte digitali, analizzare il sangue sul lenzuolo, domandarsi qualcosa su quella chiave elettronica, stabilire, con la temperatura corporea, l'esatta ora della morte.
Una petizione di principio: il dopato d'Italia muore per overdose di cocaina (sei volte la dose letale, pazzesco, ci vorrebbe un fisico bestiale...), da solo, in una stanza d'albergo, a Rimini, il giorno in cui si celebra l'amore.
La metafora (ha polverizzato se stesso cibandosi di polvere bianca) e la metonimia (ha demolito una stanza, come volesse distruggere la totalità dei suoi persecutori).
Troppo perfetto. Si potrà perfino pronunciare il parce sepulto e condannare gli spacciatori.
L'ha davvero demolita lui quella stanza? Torna il filmato: ecco un poliziotto, apre un cassetto e cadono le posate, con gran fracasso. Faranno parte del disordine attribuito a Pantani.
È un articolo che si deve leggere.
Per toglierci di dosso quell'assuefazione a considerare i misteri di questo paese sempre irrisolti e irrisolvibili, per chiedersi come mai gli occhi di un giornalista, di un avvocato, della madre di Marco che da anni chiede come è morto davvero suo figlio, i nostri che leggiamo, vedono quello che gli investigatori hanno solo guardato.
È un articolo che si deve leggere perché è salutare, a volte, ricevere un pugno nello stomaco e chiedersi: ma da quanto tempo non si parlava così della morte di Pantani, che è successo dopo il clamore mediatico di un paio di anni fa? Per sapere che qualcuno, qualche vecchia talpa, non si è arreso e continua a scavare, a farsi domande. Forse in quella morte nulla è come appare, è un dovere verso Marco scoprire come è morto. E perché.
È dovere di chi indaga e scava, è dovere dei giornali e dei media dare spazio, come in questo caso ,a questo indagare e scavare e riflettere.
È dovere di chi ha amato la sua avventura ciclistica continuare a chiedere verità, ricordando che gli dobbiamo qualcosa, ricordando quando ci siamo persi "negli occhi di Pantani". Perché "solo se esci dal tuo io, sia pure per gli occhi belli di una zingara, sai cosa domandi a Dio e perché corri dietro a lui".
L'articolo è il racconto di un filmato, quello girato dagli investigatori nella stanza dove Marco era morto. Da quante ore? Difficile dirlo leggendo, con attonito stupore, di un medico legale che stabilisce la temperatura del corpo con un normale termometro da febbre e gettando un'occhiata al termostato sul muro.
Era davvero da solo? Eppure, in un portafoglio, nella stanza, c'è una chiave elettronica di una Mercedes che non era più nella disponibilità di Marco dal 2003.
Muore senza misteri Marco Pantani? C'è un lenzuolo, sul divano, sporco di sangue. A nessuno è venuta la curiosità di far analizzare quel sangue.
Si sente dire che è stato defibrillato. Perché, se il corpo già presenta i segni dolorosi della morte?
Perché la stanza, all'arrivo degli investigatori, è già piena di gente indaffarata da un'ora?
È un articolo pieno di domande, duro da leggere per chi ha amato Marco, difficile tenere insieme l'uomo del Galibier e quel corpo rigido, con le braccia arroccate come in un'ultima difesa.
Un articolo pieno di domande, quelle che avrebbero dovuto essere poste durante il processo di primo grado ma, sorprendentemente, la difesa e l'accusa omisero di farle.
Un articolo che va letto. Un articolo che nasce dal lavoro dell'avvocato della famiglia Pantani. Già Philip Brunel aveva iniziato a squarciare quella densa, opaca, asfissiante petizione di principio che è stata l'inchiesta sulla morte di Marco.
Una petizione di principio, non serviva nemmeno il livello più elementare di indagine: prendere le impronte digitali, analizzare il sangue sul lenzuolo, domandarsi qualcosa su quella chiave elettronica, stabilire, con la temperatura corporea, l'esatta ora della morte.
Una petizione di principio: il dopato d'Italia muore per overdose di cocaina (sei volte la dose letale, pazzesco, ci vorrebbe un fisico bestiale...), da solo, in una stanza d'albergo, a Rimini, il giorno in cui si celebra l'amore.
La metafora (ha polverizzato se stesso cibandosi di polvere bianca) e la metonimia (ha demolito una stanza, come volesse distruggere la totalità dei suoi persecutori).
Troppo perfetto. Si potrà perfino pronunciare il parce sepulto e condannare gli spacciatori.
L'ha davvero demolita lui quella stanza? Torna il filmato: ecco un poliziotto, apre un cassetto e cadono le posate, con gran fracasso. Faranno parte del disordine attribuito a Pantani.
È un articolo che si deve leggere.
Per toglierci di dosso quell'assuefazione a considerare i misteri di questo paese sempre irrisolti e irrisolvibili, per chiedersi come mai gli occhi di un giornalista, di un avvocato, della madre di Marco che da anni chiede come è morto davvero suo figlio, i nostri che leggiamo, vedono quello che gli investigatori hanno solo guardato.
È un articolo che si deve leggere perché è salutare, a volte, ricevere un pugno nello stomaco e chiedersi: ma da quanto tempo non si parlava così della morte di Pantani, che è successo dopo il clamore mediatico di un paio di anni fa? Per sapere che qualcuno, qualche vecchia talpa, non si è arreso e continua a scavare, a farsi domande. Forse in quella morte nulla è come appare, è un dovere verso Marco scoprire come è morto. E perché.
È dovere di chi indaga e scava, è dovere dei giornali e dei media dare spazio, come in questo caso ,a questo indagare e scavare e riflettere.
È dovere di chi ha amato la sua avventura ciclistica continuare a chiedere verità, ricordando che gli dobbiamo qualcosa, ricordando quando ci siamo persi "negli occhi di Pantani". Perché "solo se esci dal tuo io, sia pure per gli occhi belli di una zingara, sai cosa domandi a Dio e perché corri dietro a lui".
Maria Rita Ferrara
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